giovedì 29 ottobre 2009

perché da McDonald's?


Per mio fratello una delle cose da fare negli Stati Uniti è andare a mangiare a Burger King; altri mi hanno guardata increduli alla mia risposta che no, in tre mesi qui non ero mai stata in un McDonald's. Lasciatemi aggiungere che non ho la minima intenzione di andarci. E non perché mi piaccia sbandierare superiorità nel ribadire che "io certe cose non le mangio". Quello che voglio dire, è che non ne vale la pena.
In Italia hanno iniziato a spuntare come funghi le stupide casette colorate del pagliaccio più famoso del mondo, e le TV ci hanno fatto capire che era ora di imparare a godere del cibo americano. Per un periodo persino i biglietti dell'autobus urbano ti offrivano uno sconto. E noi tutti lì, vecchi e bambini accompagnati da mamme e papà che a grandi passi soddisfacevano la loro fame del sogno americano. Ci sono riusciti. Davvero abbiamo creduto che qui mangino così. Sì, certo che ci sono i fast food. Ad esempio nelle mense, o nelle strade meno centrali. Ma quando gli americani vogliono passare una serata fuori casa, non vanno mica al McDonald's. Il panino è la loro cultura, ma chi ha detto che debba necessariamente trattarsi di due fette di pane finto, con in mezzo una sfoglia marrone vagamente aromatizzata al sapore di carne, chiuse in una specie di scatola delle uova e pronto per te accanto al bancone?
Si entra in un locale generalmente rivestito in legno, con la musica ad un volume piuttosto alto e un megaschermo ogni due tavoli a trasmettere qualche partita di foothball o baseball. Ci si siede, si guarda il menù e si ordina. Strano? E dopo alcuni minuti la cameriera ti porta un cestino di plastica rivestito di cartaforno, con un panino enorme - almeno 200g di carne profumata, anelli di cipolle dal diametro di 10 cm, formaggio, insalata, pomodori e quant'altro - contornato di vere patate fritte in grado di sopravvivere per più dei normali 4 minuti, una fettina di melone o un sottaceto. Oppure breadsticks con un vasetto di salsa marinara, wings, chicken fingers. i piatto di ceramica con vasetto di salsa barbequr... Vi danno posate vere, bicchieri di vetro taglia XL, a fine pasto vi sparecchiano il tavolo e quando volete andar via chiedete il conto. Scusate se è troppo "quasi normale" per sapere di americano!

mercoledì 28 ottobre 2009

concerti e concerti


Sbaglio, o quando in Italia si va ad un concerto è un po' come partire per una guerra: sai come vai ma non sai come torni? Corsa ai posti migliori ancor prima dello scattare dell'ora X, cioè l'apertura dei cancelli; spinte continue da parte di coloro che sono più indietro, nel tentativo di guadagnare qualche centimetro in più verso il palco; salti e "danze" per mostrare il proprio entusiasmo e coinvolgimento... Personalmente ho deciso che per la mia incolumità è bene che non vada più a concerti tenuti al chiuso. La mia statura non me lo permette. L'ultima volta mi sono ritrovata distesa su un lettino della mini-infermeria, con una luce accecante puntata negli occhi e cinque persone in arancio che mi circondavano. Convincerli che davvero non avevo fumato, bevuto né preso nulla è stato un po' difficile... avevano i loro dubbi riguardo il fatto che, dal basso dei miei 160 cm, il mio naso era entrato in rotta di collisione con l'odore nauseabondo di un'ascella scoperta! Non parliamo poi della perdita di udito progressiva a causa dei volume leggermente troppo alto. Le orecchie continuano a ronzarti fino al mattino successivo, come se un nido di vespe si fosse imboscato all'interno del tuo cuscino.
Qualche sera fa c'è stato un concerto. Il campus universitario della cittadina in cui viviamo ha registrato il maggior numero di vendite di capi Victoria's Secret tra tutti i campus statunitensi, così come riconoscimento questi famosi produttori di intimo hanno organizzato un concerto gratuito. Sono passata accanto al prato in cui si svolgeva l'evento: attraverso il finestino dell'autobus ho visto un mare di gente, ragazzi per la maggior parte quasi immobili... E il giorno dopo, cosa ho dovuto sentir dire? Che il concerto aveva creato troppa confusione. E che, udite udite, le vibrazioni erano percepibili fino all'altro lato della strada!!! Nooo??? Ma davvero???
Scusate la domanda. Ma qui, negli USA, i concerti di solito li seguite con le cuffiette, comodamente seduti in poltrona e con il classico secchiello di popcorn sulle ginocchia?

martedì 27 ottobre 2009

infornare un po' d'amore

A volte basta davvero poco per stare bene. Anche la cosa più piccola o naturale può rivelarsi speciale, soprattutto se a condividerla con te c'è la persona che ami. In questo sono fortunata: ne ho scoperti di momenti speciali!
Una delle cose che più può darci serenità, qui in questo posto così, così... così lontano, è fare i biscotti. Non scherzo, è la verità. A volte li facciamo la sera, prima di andare a dormire, per poi immergerci nei nostri sogni in un profumo di dolcezza che aleggia per la nostra piccola casa. L'importante è farli insieme, e metterci tutto l'amore che emaniamo. E' bello sporcarsi le mani di burro e pian piano sentire l'odore caldo che esce dal forno... ed è bello mangiarli, con una tazza di te fumante tra le mani, sapendo che li abbiamo fatti noi.
In realtà è la stessa ricetta che usava mia mamma quando ero piccola; in certi pomeriggi di pioggia impastava un po' di allegria, e io, mio fratello e i nostri piccoli amici intagliavamo cuoricini e fiorellini, o anche semplici dischi, usando i bicchieri buoni, presi in prestito dalla vetrinetta della sala. Se un giorno avrò dei bimbi miei, faremo i biscotti tutti insieme, farcendoli di allegre chiacchierine. Intanto mi tengo ben stretta la ricetta: i biscotti americani sono esageratamente dolci e talmente molli che è praticamente impossibile tenerli in mano!

  • 250 g farina
  • 100 g zucchero
  • 100 g burro
  • 1 uovo
  • 1 tuorlo
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci
mettere in forno a 200°C per 6/8 minuti

lunedì 26 ottobre 2009

tritarifiuti nuovo di zecca

EVVIVA!!! Questa è proprio una data da segnare sul calendario, quasi più importante dell'Independence Day - anzi, diciamo che è anche più importante, anche perché a me della loro indipendenza dal Regno Unito non è che importi poi così tanto... Ma oggi ci hanno messo un tritarifiuti nuovissimo!!! Avete presente quel buco rumoroso e micidiale che in tutti i film hanno nel lavandino della cucina? Bene, quello è praticamente presente in qualsiasi casa americana. E fidatevi se vi dico che se per caso non funziona è un vero e proprio disastro. Eh sì, perché il suo interno consiste in un cestello metallico dai buchi piccolissimi, che non lasciano passare neppure i semini del pomodoro. Ciò significa che, se il motore è rotto, il vostro lavandino è costantemente otturato, indipendentemente dal livello d'attenzione che voi dedichiate alla pulizia dei piatti prima di lavarli. Bene. Noi abbiamo vissuto in queste condizioni drammatiche per mesi. D'altronde voi che avreste fatto? Vi sareste autodenunciati ai proprietari di casa rischiando di dover pagare chissà quale cifra sconsiderata? Noi, per sicurezza, abbiamo sempre fatto finta di nulla. Alla fine, quasi senza pensarci, ci siamo fatti coraggio, e abbiamo scritto una e-mail dicendo che sì, "a volte il tritarifiuti smetteva improvvisamente di funzionare". Ovviamente ci siamo guardati bene dal dire che era morto ucciso da un tempo mooolto lungo! E questi americani che fanno? Arrivano subito per cambiarlo! Senza chiedere cosa sia successo, o dire nulla. Così, a metà mattinata ti bussano alla porta e dicono che sono venuti a metterti il tritarifiuti nuovo. Che roba! Certo, sono arrivati in due per poi finire con l'essere in sei, tutti nella nostra mini-casetta, che smontavano tutta la cucina e mi chiedevano tempo fino al pomeriggio... eppure quando sono tornata a casa, oggi pomeriggio, ho trovato che avevano cambiato anche il pianale d'appoggio e il lavandino. Ho la vaga impressione che stasera ci contenderemo i piatti da lavare... Eh, gli americani, sempre tutto in grande devono fare!

domenica 25 ottobre 2009

cosa mettere a cena

Ieri serata interculturale: cena tailandese. Zuppa calda di tonno e pomodori con abbondanza di peperoncino; linguine di riso con gamberi, thai tofu, uovo, pollo, mandorle e peperoncino; dolce al te. Il tutto innaffiato con un bicchiere american size di thai tea, così forte e dolce da sembrare uno sciroppo, e accomapgnato da una piccola ma gradevole compagnia. Peccato che per un paio di ore di lieta socializzazione abbiamo passato l'intera settimana precedente a cercare di decire quale tra le nostre calze fosse meno imbarazzante mostrare... Personalmente avevo quasi deciso per dei calzettoni fuxia in lana d'angora, mai messi, ma alla fine ho optato per qualcosa di più classico: Golden Lady blu con punta e calcagno azzurri.

partita di basket o varietà?

Assistere ad eventi sportivi come partite di basket, baseball o foothball è requisito fondamentale per qualsiasi americano. Diciamo che il secondo - assolutamente stupido e noioso - e il terzo - stupido e incomprensibile - non ci interessano granché; invece il basket non ci dispiace, così non ci abbiamo pensato troppo prima di prendere i biglietti per una prestagionale di NBA in programma qui in città. E' vero, non siamo americani né aspiriamo ad esserlo, ma a volte sperimentare può anche essere divertente... E, in più, avere l'occasione di avere a un palmo di naso alcuni tra i più forti giocatori di basket del mondo non è mica cosa da buttare via! Dunque, siamo andati.
Che vi posso dire? E' da provare. Prima di tutto due parole sull'ambiente: come ve lo aspettereste il palazzetto in cui gioca la squadra dell'università? Se anche a voi la prima cosa che viene in mente è una palestra un po' freddina, con una decina di gradoni per il pubblico, e quattro sedioline a fungere da panchina... beh, allora mi consolo. Certo, come potevo pensare che due squadre dell'NBA giocassero in un posto simile non lo so. Ad ogni modo sono rimasta leggermente allibita nel ritrovarmi in una specie di San Siro della pallacanestro!
Dopo ever preso un po' tutti i tipi dei gadget dei Pacers distribuiti all'ingresso, salite quattro rampe di scale, abbiamo comprato una small pizza Papa John's ed un pretzel salatissimo e siamo finalmente andati a cercare i nostri posti. Incredibile. Un mare infinito di comode poltroncine imbottite, suddivise in settori rossi e blu, i colori della bandiera americana. Sul centro del campo c'erano anche sospesi quattro schermi per poter vedere le immagini riprese. La banda dell'università suonava e ballava, tingendo di rosso e bianco un intero settore. Prima dell'inizio hanno suonato l'inno americano, e noi ci siamo dovuti alzare mentre tutti gli autoctoni stavano a fronte alta e mano su cuore; a me veniva da ridere. Durante i time out e gli intervalli si susseguivano vari intrattenimenti: balletti delle cheerleaders professionali, che si sono cambiate ben tre volte, passando dai vestitini di glitters dorati a tenute sportive con tanto di cappellino in testa e numero sulla shiena; lancio delle magliette contro il pubblico con apposita miragliatrice ad aria compressa; lancio delle palline mediante altra mitragliatrice ad aria compressa; coreografia della squadra della scuola di cheerleaders dell'uniersità; mini-partita tra due squadre di basket di bambini di forse 8 anni - assolutamente impressionante; riprese di gente del pubblico che mostra i muscoli; tiri a canestro acrobatici della mascotte dei Pacers - che un paio di volte ha rischiato seriamente di farsi male; sfida a tempo di composizione di una panino umano - giochino che mi ha ricordato le tante sere passate a tifare inutilemte per l'Italia quando Rai Uno trasmetteva in eurovisione Giochi Senza Frontiere... altri tempi quando tutti aspettavamo il fatidico "attention... pre...!" e il fischio di Denis. Insomma, uno spettacolo dietro l'altro, per 2 ore e mezzo di divertimento. Se vi capita di passare per gli USA andate a vedere una partita di qualcosa, che sicuramente ne vale la pena.
Come dite? La partita? Ah, sì, certo che l'hanno giocata. Tra un intramezzo e l'altro c'erano degli spilungoni in nero che si contendevano la palla con degli spilungoni in bianco. Hanno vinto i bianchi, per la cronaca, ma solo perché erano la squadra di casa, e gli avversari hanno messo in campo le riserve per tutto il quarto tempo. Poco male: se anche Toni Parker c'è rimasto male, la bella Eva Longoria avrà sicuramente saputo come consolarlo al ritorno a casa!

mercoledì 21 ottobre 2009

dipendenze

Chi non ne ha almeno una? Un'abitudine forte, un piccolo vizio, o anche una leggera ossessione? Dopotutto non c'è di che vergognarsi, anzi: inizio proprio a pensare che facciano parte della natura umane, e che, al contrario, sia impossibile non averne. Mi stuzzica l'idea di fare un piccolo studio... Ci sono quelle diffuse e le più rare, quelle di gruppo e le individuali, quelle neutre, quelle cattive e quelle buone. Ma, in fondo, le abitudini non fanno altro che descrivere noi stessi, costituiscono un elemento in più per determinare il corso degli eventi. Tra le più note vi sono la dipendenza da caffé, il fumo, l'alcol, per finire poi con il baratro delle droghe. Ma queste sono banalità!
Gli americani hanno una dipendenza di massa da bibite ghiacciate. Non importa quanti gradi ci siano, 30 o -10, Celsius ovviamente, loro camminano per strada con quei bicchieroni trasparenti pieni di ghiaccio. Il ghiaccio sta agli americani come a noi sta non so neppure cosa. Lo ven-do-no!!! Tu vai al supermercato e trovi sacchi di ghiaccio. Ci sono persino dei venditori ambulanti specializzati nel settore. E noi, poveri bimbi italiani, cresciuti nella triste consapevolezza che d'inverno il gelato non si può mangiare... Personalmente ho dovuto aspettare più di vent'anni e un'operazione ai denti, con tanto di punti nella bocca, per poterne avere uno a febbraio. Magari è da questo che abbiamo derivato la nostra dipendenza di gruppo, noi accaniti mare-dipendenti? No, non credo; ma forse un po' ha influito.
In realtà credo che quasi tutto possa indurre dipendenza. Dipendenza sociale, che trovo un po' stressante, dipendenza da competizione o da autoaffermazione, per chi non ha sufficiente stima in se stesso e deve cercare sempre nuove conferme, da sesso, da videogiochi. Ed ogni persona può averne una o varie, egualmente forti o modulate, singole e di gruppo, in una combinazione del tutto unica.
La mia amica credo abbia scelto la più particolare: lei è telefilm dipendente. Li vede tutti, su qualsiasi argomento e indipendentemente da orario e canale della trasmissione. Per una cosa del genere serve passione, per interessarsi e vivere ogni storia come se ti coinvolgesse davvero, pazienza, sopportando le varie complicazioni escogitate dagli sceneggiatori per far lievitare il numero di episodi, e forza. Sì forza! Perché non sempre le cose vanno come si vorrebbe, e se li vedi proprio tutti incappi anche in quelli senza lieto fine, o con un lieto finoeche però necessita di alcuni sacrifici. La morte di Nina o di Paolo a Distretto di Polizia hanno garantito incassi extra per i produttori di fazzoletti di carta. Ma come puoi, dopo due intere serie, qualcosa tipo 40 episodi, proprio quando finalmente ci si preparava per il matrimonio tra il commissario e l'ispettore, farmi ritrovare il cadavere di lui nel bel mezzo di una cava di marmo? Ma dico: ma ce l'hai un cuore??? Personalmente non ho ancora accettato la perdita di Sergio Amato, nonostante la sua auto sia esplosa alla fine della 4 serie della Squadra, che è stata chiusa due anni fa dopo la fine dell'8.
Sì, mi piace. E qualche volta puoi anche imparare qualcosa, uscire di casa e pensare che, in fondo, quei tuoi amici comodi, che ti visitano ogni settimana ma mai in modo intrusivo, ti hanno insegnato qualcosa di speciale, che in qualche modo ti hanno fatto ricominciare a sperare... Bhe, se posso scegliere, e se alla mia amica non dispiace, quasi quasi un pensierino ce lo faccio...

martedì 20 ottobre 2009

sole e amore

Dopo due settimane di freddo finalmente un po' di sole. Ho passato la mattinata in giro, un po' a passeggio con il mio amore, tra le stradine del campus, e un po' da sola, per la via principale della città, illuminata dal sole e insolitamente tranquilla, vuota degli studenti impegnati con le lezioni. A volte non ci vuole poi molto per pensare e ritrovarsi. Così, tra i tavolinetti spogli di una spartana pizzeria made in USA, puoi guardarti negli occhi dell'altro e tornare a sorridere, e poi perdersi di nuovo in un bacio scandaloso che sa un po' di casa.

domenica 18 ottobre 2009

Homecoming




Certo che la vita è proprio imprevedibile! Trascorri tutta la tua vita, all'incirca un quarto di secolo, in un Paese, il tuo, in cui è quasi impossibile trovare qualcosa a cui ci si possa davvero sentire legati, e poi ti ritrovi qui, negli Stati Uniti, la patria del senso di appartenenza. Fin da bambini impariamo che il 25 aprile non si va a scuola, caratteristica che lo fa indiscutibilmente rientrare nella categoria delle date importanti; attività predominanti: picnic all'aria aperta, passeggiate in bicicletta, dormite fino a metà giornata, gite fuoriporta di qualsiasi genere... infondo la primavera può offrire varie opportunità. I più informati sanno che nello stesso giorno del 1945 in Italia è finita la guerra - motivo per il quale Rai Uno trasmette vecchie immagini in bianco e nero e noiosissime processioni a colori, condite con tanto di discorso del Presidente della Repubblica. Crescendo impariamo che niente e nulla è da considerasi davvero nostro, neppure le idee. Niente da stupirsi, dunque, se dal dire giallo si passa al professare amore per il viola, per poi consacrarsi al verde. Anche perché è giusto dare a ciascuno la possibilità di scegliere e correggersi... ed è così che quando andiamo a votare ci ritroviamo tra le mani dei fogli così grandi che per orientarvisi serve una bussola!
E con un simile background cosa abbiamo dovuto vedere? Una città intera che si trasforma in occasione dell'homecoming. Homecoming: ritorno a casa. Quale casa? Quella in cui sei nato? NO! Ogni anno, alla fine di ottobre, centinaia di persone di tutte le età si muovono da una parte all'altra di questo enorme Paese solo per visitare la loro vecchia università. E le università che fanno? Si preparano per accoglierli con varie attività, quali eventi sportivi, feste e persino le classiche parate americane per le vie della città. Ed è così che le stradine dei campus si riempono di persone di tutte le generazioni: trentenni ad inizio carriera che ricostituiscono i vecchi gruppi dei tempi del college, quaratenni e cinquantenni che mostrano ai figlioletti i luoghi della propria giovinezza, e coppie di sessantenni o settantenni, con il cappellino della squadra locale, che rivivono insieme i ricordi di un tempo lontano. Tutti insieme, tutti di nuovo lì. E solo perché quella era, è e sarà sempre la loro università. Ed è per questo motivo che venerdì pomeriggio, all'ora in cui di solito il traffico è più intenso che in qualsiasi altro momento della settimana, le strade sono state chiuse - persino l'efficientissimo servizio degli autobus è stato sospeso - per permettere agli attuali studenti delle varie squadre o confraternite di sfilare tra due muri di gente che li salutava con le bandierine, un mare tutto rosso, il colore dell'Indiana University. Non importava a nessuno che facesse freddo, e stesse piovendo. Quella era la loro sfilata. Così sono rimasti fino alla fine, raccolt davanti all'ingresso principale del campus, tutti in silenzio ad ascoltare l'esibizione della loro banda musicale, che con gli impermeabili rossi e bianchi sembrava quasi un gruppo di aspiranti Babbi Natale. E c'erano persino le majorette! In tuta, però. E alla fine... mini spettacolo pirotecnico.
Per la serata c'era persino in programma il famoso Prom, il ballo che fanno vedere in tutti i telefilm che si rispettino. Peccato che noi non siamo potuti andare: non avevamo un vestito adatto. Magari per la prossima volta ci attrezziamo... dopotutto andare a prom con il più bello della scuola è il sogno di tutte le ragazze... e io sono sposata con il ragazzo da cui avrei voluto essere invitata!
Uh, alla fine ho pensato che infondo in Italia non siamo poi così privi di senso d'appartenenza... chi mai si sognerebbe di cambiare la squadra di calcio del proprio cuore??

mercoledì 14 ottobre 2009

20 minuti


Tra 20 minuti la mia cena sarà pronta: sei bastoncini di pesce impanati e un misto di verdure messicane come contorno. Tutto appena estratto dal frizer, i primi da una bella scatola blu, confezione da 44, e già messi in forno. Classica preparazione di cena america. Il mio amore lavora fino a tardi tardi, e per una serata in solitaria non è poi tanto male!
Purtroppo questa volta mi sono lasciata tentare, e mi sono addentrata nella zona proibita del supermercato: le quattro corsie del reparto surgelati, le quattro lunghissime corsie delimitate a destra e sinistra da sportelli trasparenti alti più di due metri. I vetri riflettono la luce artificiale in un modo talmente strano da creare un ambiente del tutto innaturale, e al dilà di essi ci sono centinaia e centinaia di scatole e buste colorate, con disegni, scritte e immagini di piatti appetitosi che quasi riescono a chiamarti davvero, per dirti "comprami! comprami!". Gelati azzurri, pasta annegata in un mix di dodici formaggi gialli, pizze dal peso di 5.7 kg l'una, cibo messicano, cinese, coreano, italiano... chi più ne ha più ne metta. E tu sei lì, solo, in quella luce strana, con il tuo carrello così grande da sembrare il rimorchio di un'auto, e non sai che fare. Ogni tanto qualcuno arriva, apre uno dei mille sportelli, prende una scatola qui, un paio di buste di là, e poi scompare, quasi fosse una visione. E tu sei ancora lì, quasi colpevole per non aver ancora preso niente, così alla fine, timidamente, con fare quasi furtivo, prendi qualcosa anche tu, sperando disperatamente di essere riuscito a pescare l'unico alimento del reparto che possa essere etichettato come "normale". L'ho fatto anch'io, ed ecco che ora mi ritrovo con un pentolino pieno di carote a rondelle, baccielli di fagioli a pezzi, fagioli rossi grandi, fagioli bianchi piccoli, ceci e carote tagliate a parallelepipedo. So già che le verdure verranno troppo molle e i legumi saranno duri come pietre... eh sì, perché lo sanno tutti che i legumi hanno bisogno di acqua, di diversi minuti d'ebollizione. Evidentemente a questo cuoco industriale pseudo-messicano non l'hanno detto.
Dunque ecco qui. In 20 minuti posso fare un giro intero sull'autobus E, salendo e scendendo alla fermata qui dietro casa - che poi è anche gratis!-; perdere 110 calorie facendo la ciclette al livello 4; a temperatura ottimale le cellule di Escherichia coli possono duplicarsi; gli episodi di molti cartoni animeti possono iniziare e finire, sigla compresa. Quante altre cose si possono fare in 20 minuti? Sicuramente molte, anche se ora non mi vengono in mente. Io, invece, ho cucinato qualcosa dall'aspetto ben poco convincente. Cucinato... forse non ho usato proprio il termine più corretto. Meglio dire preparato, forse.
Bene, mi rifarò guardandomi un episodio di uno dei mie telefilm preferiti , giusto per avere un po' di compagnia. Uno ... diciamo due? Non più di tre. I bastoncini di pesce li mangio con le mani però!

E adesso mi presento!


E' strano... non so proprio come iniziare... non ho mai avuto un blog!
A dire la verità non credo di aver mai neanche pensato di volerne avere uno... Però ho avuto un diario, anzi: tanti diari. Sei o sette, tutti gelosamente conservati nei cassetti del mio comodino rosso, al sicuro nella mia cameretta. Forse sette diari, pagine e pagine riempite in intervalli di tempo irregolari nell'arco di 16 anni, per raccontare i momenti più importanti e le emozioni più segrete. Ma se qualcuno li leggesse potrebbe davvero conoscermi? Mmm... non ne sono molto sicura. Ad esempio non saprebbe che mi sono sposata. Non saprebbe che ora vivo negli Stati Uniti, uno degli ultimi posti al mondo in cui avrei mai potuto immaginare di andare. Non saprebbe...