Ricordo che ne iniziarono a parlare quando avevo all'incirca dieci anni. Prima di allora, non credo fossero in molti a conoscere il significato di quella che stava per diventare una delle tante parole inglesi introdotte a forza nel nostro vocabolario. In italiano, il termine corrispondente sarebbe riservatezza, ma, come spesso accade, preferiamo copiare, spesso passivamente, piuttosto che rielaborare. Mio nonno, dal canto suo, non si è piegato del tutto. L'ha ribattezzata praita; e a nulla sono valsi i centinaia di tentativi di correzione che si sono susseguiti negli ultimi 15 anni: praita fu, e praita è sempre rimasta.
Quando, nel 1996, si iniziò a parlare della Legge sulla Privacy, non era ben chiaro cosa sarebbe successo, ma si aveva l'impressione che, comunque, le nostre vite sarebbero state completamente cambiate, catapultate in un'aurea più tranquilla, sicura, intima. Quali fossero le vere intenzioni all'epoca, certo non posso dirlo. Quello che invece ricordo, è quel che ne seguì. Ben presto scoprimmo che nelle nostre bollette telefoniche, i recapiti da noi chiamati erano riportati in modo incompleto, con le ultime cifre sostituite da una serie di asterischi. Insomma, non solo non potevi sapere il numero di chi ti telefonava in piena notte facendoti proposte oscene, ma neppure chi tu stesso avevi chiamato dal tuo apparecchio. Per lo stesso principio, le scuole si sono ritrovate in dovere di sostituire sui quadri di fine anno, degli atti pubblici, con dei rassicuranti 6 tutti i voti da 1 a 5. Alla faccia della trasparenza! Se poi un 3 veniva segretamente trasforamto in un 5, o addirittura in un 6, dov'era il problema?
La fobia per la riservatezza, come tante altre perversioni, ci è arrivata di seconda mano, straripando oltre i confini del grasso continente Americano, lasciandosi trasportare dalle acque dell'oceano fino alle nostre coste. E proprio nella sua patria natia, può raggiungere i suoi massimi livelli d'assurdità. Direte: ma come? E io vi rispondo: eh sì! Perché bisogna sapere, tanto per dirne una, che l'anagrafe, quell'ufficio pubblico che raccoglie i nostri dati, e assicura il nostro Paese e noi stessi della nostra esistenza, negli Stati Uniti non esiste. Il risultato? Se in Italia necessiti di aggiornare un documento, vai all'ufficio anagrafico, appunto, e dopo aver trovato nel registro i tuoi dati, ti stampano la tua bella tesserina. Negli USA... non è proprio così. La riservatezza, o privacy, è talmente assicurata, che tu praticamente non esisti. Se poi, per una ragione o per l'altro, dovessi avere il desiderio o la necessità di attestare la tua esistenza, l'unica cosa da fare è rivolgersi alla motorizzazione, che oltre a rilasciare licenze di guida, è anche incaricata di rilascere quella che, semplificando, possiamo definire l'equivalente della nostra carta d'identità. Ma non è così semplice. Per loro, tu potresti essere chiunque. Sei dunque obbligato a provare la veridicità di tutti i dati richiesti. Così nessuno, Stato compreso, conosce nulla di te, ma se devi anche solo cambiare l'indirizzo di residenza sul tuo documento, devi presentare a degli estranei impiegati il tuo contratto d'affitto, gli estratti conto della tua banca e le tue bollette. EVVIVA LA RISERVATEZZA!
Quando, nel 1996, si iniziò a parlare della Legge sulla Privacy, non era ben chiaro cosa sarebbe successo, ma si aveva l'impressione che, comunque, le nostre vite sarebbero state completamente cambiate, catapultate in un'aurea più tranquilla, sicura, intima. Quali fossero le vere intenzioni all'epoca, certo non posso dirlo. Quello che invece ricordo, è quel che ne seguì. Ben presto scoprimmo che nelle nostre bollette telefoniche, i recapiti da noi chiamati erano riportati in modo incompleto, con le ultime cifre sostituite da una serie di asterischi. Insomma, non solo non potevi sapere il numero di chi ti telefonava in piena notte facendoti proposte oscene, ma neppure chi tu stesso avevi chiamato dal tuo apparecchio. Per lo stesso principio, le scuole si sono ritrovate in dovere di sostituire sui quadri di fine anno, degli atti pubblici, con dei rassicuranti 6 tutti i voti da 1 a 5. Alla faccia della trasparenza! Se poi un 3 veniva segretamente trasforamto in un 5, o addirittura in un 6, dov'era il problema?
La fobia per la riservatezza, come tante altre perversioni, ci è arrivata di seconda mano, straripando oltre i confini del grasso continente Americano, lasciandosi trasportare dalle acque dell'oceano fino alle nostre coste. E proprio nella sua patria natia, può raggiungere i suoi massimi livelli d'assurdità. Direte: ma come? E io vi rispondo: eh sì! Perché bisogna sapere, tanto per dirne una, che l'anagrafe, quell'ufficio pubblico che raccoglie i nostri dati, e assicura il nostro Paese e noi stessi della nostra esistenza, negli Stati Uniti non esiste. Il risultato? Se in Italia necessiti di aggiornare un documento, vai all'ufficio anagrafico, appunto, e dopo aver trovato nel registro i tuoi dati, ti stampano la tua bella tesserina. Negli USA... non è proprio così. La riservatezza, o privacy, è talmente assicurata, che tu praticamente non esisti. Se poi, per una ragione o per l'altro, dovessi avere il desiderio o la necessità di attestare la tua esistenza, l'unica cosa da fare è rivolgersi alla motorizzazione, che oltre a rilasciare licenze di guida, è anche incaricata di rilascere quella che, semplificando, possiamo definire l'equivalente della nostra carta d'identità. Ma non è così semplice. Per loro, tu potresti essere chiunque. Sei dunque obbligato a provare la veridicità di tutti i dati richiesti. Così nessuno, Stato compreso, conosce nulla di te, ma se devi anche solo cambiare l'indirizzo di residenza sul tuo documento, devi presentare a degli estranei impiegati il tuo contratto d'affitto, gli estratti conto della tua banca e le tue bollette. EVVIVA LA RISERVATEZZA!
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